WUD 2019 Torino e il debutto del Progetto Amnesia

Stesso tema per il WUD 2019 Torino, Design or the future we want, ma diversa città, ospiti dell’organizzazione della Società Italiana di Ergonomia, a presentare, per la prima volta, il Progetto Amnesia e non solo.


Dopo il report del WUD Milano, non poteva mancare quello di Torino con un programma più dilatato e complesso, per l’intensità degli interventi.

L’ergonomia attraverso diadi del nostro tempo, Silvia Gilotta

Tra i primi a parlare, Silvia Gilotta, di Adequat, presidente di SIE Piemonte,  organizzatrice dell’evento, che tocca i capisaldi concettuali, metodologici e operativi dell’ergonomia contestualizzandola nel presente e nel suo rapporto con la progettazione incentrata sulle persone… ma anche con la saga di Guerre Stellari! 🙂

Le diadi o bi-polarità che G. presenta toccano gli snodi critici del mondo della ricerca e del design nelle diverse declinazioni [qualcuna me la sono persa, ma confido nelle slide/video]:

  • complicato/(di)spiegato
  • ricerca/template
  • lento/veloce
  • empatico/partecipato
  • big/small data
  • main stream/eccentrico o alternativo
  • buona/cattiva interazione

ricordandoci che l’ergonomia è una scienza interpretativa, che affronta più che il complicato – che può essere, appunto dispiegato, cioè linearizzato – il complesso. Un concetto che ha nella non-linearità, nella bassa controllabilità, nella ridondanza, nella co-occorrenza e nella resilienza la sua espressione più profonda. Una scienza che adotta il processo induttivo, ovvero dal basso, per studiare le interazioni – bidirezionali, non neutre – tramite l’osservazione.

Una scienza che usa il template, non come obiettivo,ma come modo e strumento per visualizzare i dati, dove, tuttavia questo data-display è anche un’operazione concettuale, di raccolta, pulizia e organizzazione.

Una disciplina lenta, come lo è in generale la ricerca, malgrado le pressioni, i ritmi e le esigenze della sua applicaizone nel mondo professionale.

Un approccio che lavora sui big e sugli small-data.Dove i primi, rappresentati da metrich ee algoritmi e analytics, danno una visione quantitativa e –forse di correlazione – dei fenomeni, ma sono i secondi, a raccontarci le abitudini e i comportamenti privati, le esperienze, i desideri, le passioni.

Ed infine, un modo di progettare che pone l’accento sulle code della distribuzione, non tanto sulla la media, che guarda cioè all’eccezione, all’alternativo, all’eterodosso, perché – con buona pace di tutti – l’utente medio non esiste, ma allo stesso tempo, dimenticarsi di ciò che non è  main stream significa escludere quasi il 50% delle persone.

WUD 2019 Torino: Silvia Gilotta, presidente SIE Piemonte
WUD 2019 Torino: Silvia Gilotta, presidente SIE Piemonte 1

Etica e design: il giuramento di Aristotele, Stefano Bussolon

Stefano Bussolon si muove con disinvoltura e consumata destrezza tra gli obiettivi fissati dall’agenda  Susatinable developmente goals 2030 dalle Nazioni Unite2, psicologia, Aristotele e il flow3.

WUD 2019 Torino: Stefano Bussolon e Il Giuramento di Aristotele
WUD 2019 Torino: Stefano Bussolon e Il Giuramento di Aristotele

Aristotele, a sentire B. inventore dell’etica, dell’architettura dell’informazione, dello story-telling e di molto altro, ci propone l’idea di eudaimonia [Εὐδαῖμονία]4 ovvero il demone che ci sprona a fare “le cose giuste” e “bene” come se questo fosse la natura intrinseca delle persone.

Se phronesis [φρόνησις ] è la conoscenza pratica, devo anche sapere cosa voglio relizzare/ottenre. Devo, cioè, fare una scelta e devo poi saper pianificare, i mezzi, gli strumenti, il percorso, per raggiungere l’obiettivo che mi sono prefisso. Se, infatti, ti fai fregare dal pathos, non realizzerai ciò che ti sei prefissato. Da studi psicoogici, tra l’altro, emerge che nel momento in cui noi ci facciamo soverchiare dalla dimensione emotiva/cognitiva, il nostro cervello razionale e le aree ad esso preposte si spengono. Le due aree si neutralizzano a vicenda, neutralizzando l’altra modalità di pensiero. Un po’ come succede nell’hate-speech dei social media, ma anche nelle pubblicità che gioca sui bisogni primari come cibo o sesso.

(Al)la ricerca della felicità

Questo percorso che ci separa dalla meta che ci siamo prefissi, implica che siamo responsabili, in prima persona, della nostra felicità: un diritto, un potere, ma anche un dovere che dobbiamo coltivare. Come succedeva nella polis greca e come è scritto anche nell’articolo 3 della nostra costituzione – o nella Dichiarazione di indipendenza degli Stati Uniti d’America che parla di “diritto inalienabile” alla libertà ed “ricerca della felicità” – la comunità e la politica devono rimuovere gli ostacoli, ma siamo poi noi, a dover agire.

Di fronte a questa esigenza le risposte possono essere molteplici. La Cina, per esempio, ha adottato delle soluzioni autoritarie in è lo stato che decide cosa fa bene o fa male e di conseguenza, ti obbliga a conformarti. Una risposta alternativa può essere quella della spinta gentile: un contesto che rende più facile la scelta virtuosa, anche se le persone non ne sono pienamente consapevoli. In tutto questo, l’etica è proprio la realizzazione sistematica e consapevole finalizzata a contribuire al benessere proprio e della propria rete sociale.

Se si affrontano, dunque, la ricerca e il progetto partendo dalla cognitive Information Architecture –ovvero da una conoscenza basata sul modo in cui le persone ragionano – allora il paradosso della scelta, della choosability 5 si trasforma, invece, nella formulazione di una scelta facile, giusta moderta, non in contrasto con gli obiettivi.

Dal giuramento alle euristiche

Nella teoria aristotelica della medietà – il giusto mezzo, inteso come equilibrio – lo scopo ultimo è quello di aiutare le persone ad essere conseguenti alle proprie decisioni, facilitandole così nel raggiungimento dei propri scopi.

Aristotele ed il suo giuramento6 ci possono suggerire, quindi, delle euristiche etiche che orientino e guidino i nostri progetti:

  1. essere consapevoli che ci sono prodotit/servizi che contrastano con il benessere delle persone
  2. aiutare gli utenti a fare scelte eudaimoniche
  3. usare con parsimonia le tecniche persuasive (a partire dalla retorica!) che sfruttano reazioni emotive e bisogni primari
  4. aiutare le persone a realizzare i propri obiettivi/attività
  5. aiutare le persone ad essere coerenti7/aderenti/adottare comportamenti virtuosi
  6. sostenibilità sociale allargata
  7. sostenibilità ambientale delle porpie scelte e comportamenti

Ricordandosi, in tutto questo, che la tecnologia passa, mentre la conoscenza è durevole, sostanziale e radicale… “e che Aristotele pompa ancora un casino!”

Immaginare e progettare ambienti comprensibili e usabili: principi e metodi, Federico Badaloni

Forte della sua profonda esperienza, sia professionale sia didattica, B. sottolinea a sua volta come per progettare bisogna capire/conoscere i principi – stabili – rispetto alle tecniche che, invece, variano nel tempo. La metafora con cui introduce il tema è quella della patente nautica e, più in generale, della navigazione a vela. In un contesto altamente imprevedibile e complesso, infatti, è importante capire i principi che ti aiutano a prendere decisioni – azioni e reazioni – piuttosto che procedure da applicare.

Per un glossario condiviso

Il primo passo, dunque, è quello di definire un glossario, un linguaggio comune, che permetta di comprendere ciò di cui stiamo parlando:

  • Sistema: l’insieme delle informazioni e regole
  • Ambiente informativo: manifestazione dle sistema percepibile ai sensi
  • Entità informativa: unità minima dotata di senso compiuto
  • Attributo di identità: caratteristica specifica di una entità
  • Funzione: azione compiuta di un sistema
  • Sintassi: chiave di lettura per comprendere il senso dell’ambiente
  • Affordance: ciò che comunica la sintassi
WUD 2019 Torino: Federico Badaloni
WUD 2019 Torino: Federico Badaloni e i “maledetti architetti”8 😉

Un decalogo progettuale

Su questa base è possibile, poi, condividere i principi progettuali:

  1. Tanto meno ho a disposizione risorse, tanto più devo contare sulla conoscenza degli utenti. È il caso degli ambienti limitati, in termini di spazio e/o di tempo – sono di fretta, lo schermo del device è piccolo, per esempio – in cui le persone devono attingere alla loro esperienza pregressa per comprendere come interagire. La simbolicità dell’interfaccia, delle icone del sistema di interazione, perciò, è inversamente proporzionale allo spazio/tempo che sono, idealmente, infiniti.
  2. Ogni entità, o suo stato, deve avere un senso/funzione ed una soltanto.
  3. L’assenza di qualcosa che le persone si aspettano è significativa tanto quanto la sua presenza, all’interno di un sistema informativo. Se nel mondo della stampa la carta costa e, quindi, tendo ad omettere ciò che non è strettamente necessario alla comprensione – per esempio le fonti documentali estese a cui faccio riferimento – sul digitale tutto ciò è gratis e per di più parte delle aspettative degli utenti.
  4. Anche la relazione/funzione tra le entità, suggerita dall’ambiente informtivo, deve essere una e una soltanto. Come nel caso delle figure instabili e delle illusioni ottiche, infatti, il rischio è che le persone usino altrimenti chiavi di lettura o regole interpretative differenti, arrivando a conclusioni diverse.
  5. La sintassi deve esser persistente per chi riceve il messaggio, in modo da poter interpretare “una volta per tutte” e poi rilassarminel resto dell’interazione.
  6. L’usabilità è direttamente proporzionale alla comprensione della sintassi, ovvero della sua affordance.
  7. Ogni pagina raggiunge una densità informativa, un overload, oltre alla quale l’informazione diventa un problema, anziché un’opportunità. Oltre una certa soglia devo moltiplicare lìambiente informativo o l’interazione (aggiungo pagine etc.)
  8. Il significato è espresso anche dalla intensità relazionale tra le informazioni – massima, media, bassa – che l’utente percepisce, come nel caso di chunk di informazioni collocati, anche visivamente, in una narrazione che ne fa comprendere il contesto e le connessioni.
  9. L’esperienza è data dalla somatoria di diversi fattori: aspettativa + interazione + giudizio e non è un fatto sincrono. Anzi, è un processo asincrono e differito orientato dall’interpretazione. Il giudizio è una impronta mnemonica poiché si tratta di emozioni che cambiano nel tempo e nella nostra stessa memoria. È fondamentale perciò, che le tre cose siano progettate insieme per non interrompere il flusso.
  10. I sistemi devono dialogare adattandosi agli ambienti che le persone attraversano, come membrane osmotiche e porose.

Iper rilevanza e l’impatto della post modernità sul design dell’esperienza, Giovanni Pola

WUD 2019 Torino: Giovanni Pola
WUD 2019 Torino: Giovanni Pola e il pattern NEKTA(R)

Molto interessante il punto di vista che Giovani Pola, di Great Pixel (qui i suoi interventi sui dark pattern a Ux Matter del 2017 e sull’Intelligenza Artificiale del 2018) propone sul concetto di iper-realtà. Nel senso strettamente etimologico e latino di iper come superficiale, anziché di super. Dalla realtà ontologica, al Costruttivismo fino alla relativizzazione introdotta dalla fisica, la volontà schopenaueriana di raggiungere la felicità risulta essere una illusione. In una realtà troppo complessa, rimanere sulla superfiecie e a livello di emozioni, sembra essere l’unica esperienza che possiamo fare.

A ricordarci che i nostri processi decisionali non sono razionali c’è anche Kahneman – psicologo e Nobel per l’economia 2002 – e che, anche per un cliente evoluto, non contano solo le informazioni, ma anche fattori come il tempo e la fiducia. A maggior ragione in un mondo sempre più frammentato e decentralizzato in cui criteri canonici come target e profili psico-demografici sono ormai superati o in cui le persone diventano esse stesse oggetti/o di vendita, come nel caso degli influencer.

La famigliarità a cui ci hanno abituati gli algoritmi ci porta, inoltre, a una omologazione dell’esperienza digitale (a partire dalla struttura visiva “immagine di testata + call to action”) che ci nega quello che Pola chiama – forse riecheggiando il recente The game il meta-gaming, ovvero la consapevolezza di come funzionino questi meccanismi: il ranking dei risultati di Google, le proposte di Facebook etc.

In tutto questo, l’intenzione di seduzione sconfina nella manipolazione dei dark pattern che sfruttano la rapidità del nostro flusso decisionale. Ci bastano infatti tre secondi per capire se qualcosa ci interessa in una sequenza strutturata di cosa definito anche dal/nel contesto – il perché – il valore, la rilevanza – e azione.

Personal Interaction Design: la consapevolezza del designer come elemento critico per progettare, Laura Varisco

Frutto della sua ricerca di dottorato, condotto tra il Politecnico di Milan, il MIT e Samsung, Laura Varisco (lauravarisco.com) si trova a Boston nel 2017 proprio quando scoppia il caso Cambridge Analytics che fa percepire il tema in tutta la sua di drammatica attualità.

WUD 2019 Torino: Laura Varisco
WUD 2019 Torino: Laura Varisco

Progettare l’uso dei dati personali diventano quindi un tema di design centrale che implica questioni come la raccolta, lo storage, la restituzione e, soprattutto, il passaggio. A maggior ragione con il diffondersi dell’IoT, dell’ubicomp e della sensoristica pervasiva la tecnologia diventa sempre più abilitante, aumentativa dell’esperienza, ma anche pervasiva e onnipresente. Alexa conosce il nostro calendario, i nostri appuntamenti e la nostra impronta vocale…

Da un lato, le app di self tracking possono essere molto utili per monitorare i propri comportamenti, per acquisire consapevolezza e migliorare le nostre performance, tutto questo grazie – ovviamente – all’acquisizione dei dati biometrici e grazie allo storico. Dall’altro, però, queste stesse informazioni possono essere utilizzate in maniera ciritica, come nel settore medicale. Le funzionalità di telemedicina possono cambiare il paradigma di interazione con il proprio dottore e creare una cultura e strumenti per la prevenzione, ma anche essere utilizzate dalle assicurazioni saitarie.

Un altro modello è quello che usa i dati di altri per fornire il servizio. Come nel caso di Google Maps che utilizza posizioni, informazioni dell’ATM, dei treni e degli utenti Android per calcolare il percorso più breve in base a traffico.

I dati rappresentano un valore per gli stakeholder, non sempre per gli utenti che li “producono”, una volta anonimizzati e clusterizzati, che si tratti di data driven business strategy o di ricerca medica.

(Dodici)9 temi critici

  • l’uso dei dati genera una alterazione del carico cognitivo e induce a prendere decisioni diversi o ad avere, addirittura, una diversa percezione di se stessi, come riportato su Wired in un articolo del 2017
  • la gestione dell’acceso ai dati (chi, quali, la granularità) prima di diventare una dashboard
  • il consenso e il rifiuto dell’uso dei propri dati
  • oltre la privacy, anche la disparità o la posizione di potere generata da chi possiede i dati o le informazioni diventa un problema di tipo sociale. È il paradosso dei Google Glass che, al di là degli aspetti tecnici, mi permettono di googlare chi ho di fronte in tempo reale, dandomi un “vantaggio competitivo” rispetto al mio interlocutore
  • la personal awarness che, con notifiche e azioni, cambia la percezione che ho di me. Il Fitbit mi dice che ho dormito male, basandosi su dati medi derivati dagli altri utenti, anche se io mi sveglio riposata e questo genera in me preoccupazione.
  • l’impatto sulle relazioni/interazioni interpersonali
  • il contributo o l’impatto sociale (delle smartcity, dei dati dei cittadini o sulla salute)

Parte della soluzione del problema è il creare consapevolezza tra i designer esplorando possibilità e opportunità, nonché l’impatto, dando una dimensione critica al proprio fare progetuale.

L’algor-etica: algoritmi a misura d’uomo, Alessandro Picchiarelli

WUD 2019 Torino: Alessandro Picchiarelli
WUD 2019 Torino: Alessandro Picchiarelli e l’algoretica

Ingegnere e dottorando della Pontificia Università Gregoriana, lo speech di padre Picchiarelli affronta il tema dell’etica degli algoritmi e dell’impatto e conseguenze che hanno sulla nostra vita.

Facendo riferimento di artefatto tecnologico come qualsiasi prodotto frutto dell’attività umana, P. propone una riflessione morale – teologica – sul ruolo dell’algoritmo che rischia di sostituirsi alle decisioni dell’uomo, disumanizzandole.

Secondo la definizione data da padre Paolo Benanti, P. ci sono tre possibili declinazioni di agente artificiale secondo altrettante scuole di pensiero:

  • agente artificiale come agente morale
  • agente artificiale come entità morale
  • agente artificiale come quasi-morale

è dall’incontro dell’ingegneria e teologia che uno studio della Flinston University propone quale possa essere il suo ruolo e caratteristiche:

  • di sostegno alle attività umane
  • robusti rispetto ai bias
  • garantiti rispetto alla privacy
  • sviluppati all’interno dei corsi interdisciplinari

Umani e soggettività non umane sono dunque chiamati a una cooperazione secondo criteri etici e principi che siano traducibili in linguaggio macchina. Una cooperazione che deve basare su adattamneto, trasparenza, oggettività/affidabilità ed empatia, ovvero la capacità di interaizone con l’emozione umana.

Rule of human law by design per oggetti intelligenti, Luca Bolognini

Il punto di vista di Bolognigni, avvocato di ICT Legal Consulting, parte da una riflessione quasi filosofica sullo statuto del nostro mondo tra reale e virtuale. La IoTizzazione (sic!) del mondo, sta infatti permutando il concetto stesso di materialità. La raccolta e l’elaborazione dei dati, trasforma il materiale del mondo in immaterialità, che poi ritorna a incidere su di noi e la nostra fisicità.

La pervasività di questi oggetti che interagiscono, catturano e reagiscono alla nostra presenza genera patrimoni informativi di soggetti terzi che rielaborano i dati in termini statistici, real-time. Che si tratti di risultati che ci riguardano personalmente – con un impatto reale e/o virtuale – o che si tratti di big data analysis, si genera una pesante asimmetria informativa in cui altri sanno più su di noi stessi, che noi stessi! Una evoluzione sempre più spinta ed accelerata dall’adozione dell’intelligenza artificiale in ambiti come le imprese, gli enti e la pubblica amministrazione.

Un artificiale dietro cui c’è l’uomo, come sosteneva Benanti. La Comunità europea, proprio per queso sta proponendo una Carta Etica all’interno della quale anche la AI è definita come prodotto dell’uomo. Ciò che, però, rischia di mettere in crisi questi primi tentativi di definizione dell’AI è la presenza degli algoritmi autoevolutivi che modificano ontologicamente lo statuto dell’artificiale. Questi ultimi sono agenti, soggetti e oggeti senza vita e senza, alle spalle, nulla di umano: artificiali nel senso di senza responsabile/responsabilità.

In uno senario di animismo digitale le normative potrebbero essere algoritmi autoinstallati, in cui l‘umano non è più incluso nella catena decisionale. Le estreme conseguenza sarebbero, non solo la sostituzione dei lavoratori – problema che ha già suscitato un forte dibattito tra apocalittici integrati su tasse, problemi salariali e di disoccupazione –  ma anche dei datori di lavoro, cioè, di chi detta le regole, dei decisori.

Ma è possibile preservare l’etica umana in un mondo di algoritmi autoevolutivi la cui iperrazionalità porta alla massimizzazione del risultato come unica finalità, ovvero la disumanizzazione data dalla perfetta razionalità? In quest’ottica, una delle più alte espressioni umane come il perdono non è altro che un errore di calcolo. Il compromesso è una sconfitta.

Nel diritto penale la responsabilità coinvolge i beni primari esitenziali: la libertà e la reputazioni, fondamentali per l’uomo. Ma quando, invece, si parla di responsabilità funzionale, la perdita è di tipo economico e, quindi, l’algoritmo potrebbe limitarsi a versare soldi. È l’angoscia della perdità dei beni primari, che ci rende responabili, mentre l’algoritmo non ha nulla da perdere dei beni della vita, banalmente perché è lifeless.

Forse basterebbe aggiungere alla nostra costituzione un nuovo principio secondo cui, se in uno stato di diritto (rule of law) nessuo è al di sopra della legge – nemmeno il re 🙂 – allora non ci può essere votazione parlamentare di leggi che no nsiano frutto del voto di esseri umani  (fino a tutti gli altri livelli di espressione di voto democratico) ovvero lo stato di diritto umano.

Qui trovate un suo TEDxUdine su Per uno stato di diritto umano nell’era dell’Intelligenza Artificiale

Il debutto del Progetto Amnesia

“In mezzo a tanti vasi in ferro” ho debuttato anche con il Progetto Amnesia, la biblioteca social del digital design, all’interno della tavola rotonda. Si tratta della mia biblioteca privata, socializzata tramite la rete e aperta alla consultazione. Sul sito è possibile trovare il censimento dei libri ricercabile/organizzabile per autore, titolo, casa editrice e anno di pubblicazione, una scheda bibliografica con l’indice completo e delle recensioni critiche estese. Partito in sordina a settembre, il progetto inizia a raccogliere i primi riscontri e apprezzamenti – grazie a Silvia Gilotta per l’invito al WUD Torino 🙂 – patrocini, quello di AIAP e quello di Architecta sono già “pervenuti” e soprattuto donatori!

  1. Spero, per voi, che i fotografi ufficiali abbiamo fatto di meglio e confido di vedere i video degli interventi a breve online!
  2. citati anche al WUD Milano
  3. ed è l’unico che conosco che riesce a pronunciare il nome dell’autore: Mihály Csíkszentmihályi
  4. @Stefano: se mi leggi, metti online le slide, così le linko ed evito figuracce 😉
  5. si vedano i testi di Luca Rosati
  6. Una forma attualizzata del Giuramento di Aristotele viene fatta dai medici veterinari: “Entrando a far parte della Professione e consapevole dell’importanza dell’atto che compio PROMETTO SOLENNEMENTE di dedicare le mie competenze e le mie capacità alla protezione della salute dell’uomo, alla cura e al benessere degli animali, favorendone il rispetto in quanto esseri senzienti; di promuovere la salute pubblica e la tutela dell’ambiente; di impegnarmi nel mio continuo miglioramento, aggiornando le mie conoscenze all’evolvere della scienza; di svolgere la mia attività in piena libertà e indipendenza di giudizio, secondo scienza e coscienza, con dignità e decoro, conformemente ai principi etici e deontologici propri della Medicina Veterinaria”
  7. mi rifiuto di usare il termine consistente 😀
  8. titolo di un vecchio libro di Wolfe & Paolini
  9. ma qualcuno me lo sono perso 😉 vi rimando allo slide dell’intervento per completezza

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